“Questo di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l’ore”
La vita: “Un eterno sabato del villaggio”
Giacomo Leopardi compose questa famosissima canzone nel 1829, nel mese di settembre, nel periodo che viene definito pessimismo cosmico; in essa il poeta ci costringe a fare una riflessione sulla vita, in particolar modo sulla giovinezza.
La sera del sabato rappresenta l’attesa del giorno di festa, della felicità, un pò come la giovinezza dove si vive nell’attesa e nella speranza che tutti i nostri sogni diventino una splendida realtà, fiduciosi nel domani, pieni di progetti per il futuro. In effetti però Il poeta vuole sottolineare come sia importante vivere l’oggi nel migliore dei modi senza aspettarsi troppo dal domani, perché potrebbe capitare che le aspettative vengano disilluse! L’adolescente, il giovane vive nell’illusione, nell’attesa dell’età adulta come raggiungimento dei suoi scopi e finisce, in questo modo, per sprecare quello che di più bello ha tra le mani, il periodo più gioioso e spensierato.
La vera gioia è nell’attesa del piacere non nel piacere stesso: un modo per dire che la felicità non esiste ma esiste l’attesa della felicità cioè il sabato.
Mi ricordo che quando studiammo questo componimento, al liceo, mi prese fin da subito: Leopardi in tutte le sue poesie analizza la realtà in maniera filosofica, più che pessimistica io parlerei piuttosto di obiettiva.
In effetti ci rendiamo conto di quanto siano fugaci le gioie della vita esattamente come lo è la “domenica” che, dopo essere tanto attesa, trascorre così velocemente che nemmeno ce ne accorgiamo. Così succede anche per i periodi belli della vita che li aspettiamo per tanto tempo e poi quando arrivano, in un attimo svaniscono (la disillusione).
Dunque cosa ci rimane da fare? Goderci il presente, cogliere l’attimo, non aspettarci troppo dal futuro, non rimandare al domani ciò che potremmo fare oggi, gioire anche delle piccole cose che il nostro tempo presente ci offre…
Vorrei concludere pubblicando il testo del componimento che, secondo me, è un vero capolavoro che tutti i ragazzi dovrebbero studiare a memoria, come si faceva una volta!
‘’ XXV - IL SABATO DEL VILLAGGIO ''
'' La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
E' come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.’’